Regime per impatriati: fatturare all’ex datore di lavoro estero non impedisce l’accesso ai benefici

L’Agenzia delle Entrate chiarisce che il passaggio da lavoro dipendente a consulente per lo stesso soggetto estero non preclude le agevolazioni fiscali, purché siano rispettati i requisiti di permanenza all’estero.

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L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 22/2025, ha chiarito un importante aspetto del nuovo regime fiscale per i lavoratori impatriati, stabilendo che la trasformazione del rapporto da dipendente a consulente con lo stesso soggetto estero non preclude l’accesso alle agevolazioni fiscali previste dall’articolo 5 del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209.

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate

Il caso sottoposto all’Amministrazione finanziaria riguarda una cittadina francese che ha chiesto se potesse beneficiare del regime fiscale agevolato per i lavoratori impatriati. La contribuente ha dichiarato di:

  • Aver lavorato in Italia da gennaio 2015 a marzo 2018
  • Essere stata residente all’estero dal 2018 al 2024 (3 anni in Belgio e 4 anni in Svizzera)
  • Aver lavorato come Account Manager presso un’azienda di Zurigo dal 21 settembre 2020 al 27 giugno 2024
  • Essersi trasferita con la famiglia in Italia il 15 agosto 2024, chiedendo la residenza anagrafica il 23 agosto 2024
  • Non essere mai stata iscritta all’AIRE

Inoltre, la contribuente ha precisato di aver concluso il rapporto di lavoro dipendente con l’azienda svizzera e di aver stipulato contestualmente, con la stessa società, un contratto di consulenza come lavoratrice autonoma.

I quesiti posti dalla contribuente

La contribuente ha posto due quesiti all’Agenzia delle Entrate:

  1. Se potesse beneficiare del regime agevolativo di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n. 209/2023 a decorrere dall’anno d’imposta 2024 e, in particolare, se l’emissione di fatture ad un unico cliente estero (l’ex datore di lavoro) potesse rappresentare un ostacolo alla fruizione del regime degli impatriati.
  2. Se la mancata iscrizione all’AIRE, sostituita dalla residenza in nazioni estere con le quali l’Italia ha convenzioni contro le doppie imposizioni, fosse sufficiente per fruire delle agevolazioni.

La risposta dell’Agenzia delle Entrate

Sul primo quesito: la fatturazione all’ex datore di lavoro

L’Agenzia ha chiarito che il regime agevolativo può essere applicato anche nell’ipotesi in cui il lavoratore si trasferisca in Italia per prestare l’attività lavorativa a favore dello stesso soggetto presso il quale era impiegato all’estero. La norma prevede in questi casi un allungamento del periodo minimo di pregressa permanenza all’estero che passa da tre a sei o sette anni, a seconda che si tratti o meno del medesimo soggetto presso cui era svolta l’attività lavorativa in Italia prima del trasferimento all’estero.

L’aspetto importante è che la norma non specifica la tipologia di rapporto contrattuale che deve intercorrere tra i soggetti. Di conseguenza, il periodo minimo di pregressa permanenza all’estero è aumentato a sei o sette anni in tutte le ipotesi in cui il contribuente (sia esso lavoratore dipendente, assimilato o lavoratore autonomo) al rientro in Italia presti l’attività lavorativa per il medesimo soggetto per il quale ha lavorato all’estero.

Nel caso in esame, l’Agenzia ha confermato che la contribuente, che al rientro in Italia presterà l’attività professionale con la stessa società per la quale aveva già lavorato all’estero, potrà beneficiare del nuovo regime agevolativo, a partire dal periodo d’imposta di rientro in Italia e per i quattro successivi, considerato che ha dichiarato di essere stata residente all’estero per almeno 6 anni.

Sul secondo quesito: la residenza fiscale

Riguardo al secondo quesito, l’Agenzia ha dichiarato l’inammissibilità della richiesta, specificando che esula dall’istituto dell’interpello la verifica dei requisiti necessari per stabilire l’effettiva residenza fiscale, poiché implica valutazioni di fatto non esperibili in sede di interpello.

I requisiti del nuovo regime per i lavoratori impatriati

Il nuovo regime, applicabile ai contribuenti che trasferiscono la residenza in Italia dal periodo d’imposta 2024, prevede che:

  • I redditi di lavoro dipendente, assimilati e di lavoro autonomo prodotti in Italia, entro il limite di 600.000 euro annui, concorrano alla formazione del reddito limitatamente al 50% del loro ammontare
  • La base imponibile è ulteriormente ridotta al 40% nel caso in cui il lavoratore si trasferisca con un figlio minore o in caso di nascita/adozione di un figlio durante il periodo di fruizione del regime

Condizioni richieste per accedere al regime

Per beneficiare dell’agevolazione, occorre rispettare le seguenti condizioni:

  • Impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per il periodo previsto dalla normativa
  • Non essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il trasferimento (questo periodo aumenta a sei o sette anni nel caso di rapporti con lo stesso datore di lavoro)
  • Prestare l’attività lavorativa per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio italiano
  • Possedere requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal decreto legislativo n. 108/2012 e dal decreto legislativo n. 206/2007

Tabella riassuntiva dei periodi minimi di permanenza all’estero

Situazione Periodo minimo di permanenza all’estero
Caso generale 3 periodi d’imposta
Lavoratore che presta attività per lo stesso datore di lavoro estero (senza precedenti impieghi in Italia) 6 periodi d’imposta
Lavoratore che presta attività per lo stesso datore di lavoro estero (con precedenti impieghi in Italia) 7 periodi d’imposta

Conclusioni

L’interpello n. 22/2025 offre un importante chiarimento per i professionisti che rientrano in Italia e continuano a lavorare per lo stesso soggetto estero, trasformando il loro rapporto da dipendente a consulente. La risposta dell’Agenzia conferma che tale trasformazione non costituisce un ostacolo all’accesso al regime agevolativo per i lavoratori impatriati, purché siano rispettati tutti gli altri requisiti previsti dalla normativa, in particolare il periodo minimo di permanenza all’estero di sei o sette anni, a seconda dei casi.

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